Nell’arte occidentale, da Fautrier a Tapies, da Burri a Kiefer, la crepa è segno di una ferita non rimarginata, di un decadimento materiale e spirituale che tende alla morte. Invece nelle raffinate e meticolose pitture di Liu Ren, classe 1980, il guscio d’uovo rotto è metafora della vita che si perpetua, attraverso un processo naturale che non solo preserva l’eredità del passato, ma è in grado di acquisire i risultati dell’evoluzione e di consegnarli alle future generazioni. La reiterazione dell’immagine del guscio rotto, però, è un segno della globalizzazione che oppone la serialità all’individualità, la meccanica riproduzione del modello all’esito imprevedibile di una ricerca creativa. Sono queste le riflessioni indotte da Fragile Red Squares, una tela raffigurante decine di scatole sovrapposte, contenenti gusci d’uovo rotto. Il non perfetto allineamento delle scatole, quale appare da un’osservazione ravvicinata, denuncia tuttavia l’impossibilità di ridurre il molteplice all’unità, a causa della diversità genetica che è connaturata ad ogni essere vivente e che lo rende unico, esclusivo, irripetibile. Oltre alle qualità pittoriche, Liu Ren è dotato di profonde conoscenze sulla chimica dei colori, che realizza manualmente mescolando materie naturali e leganti di origine animale, come usavano gli artisti europei fino al XIX secolo. Invece le sobrie composizioni di Lu Yuwei, classe 1977, presentano delle figure austere e malinconiche, inquadrate da una cornice prospettica che fa da cerniera tra lo spazio reale e quello dipinto. L’artificio prospettico, talvolta ripetuto sul fondo della scena, permette di includere il fruitore nella rappresentazione pittorica, ovvero di proiettare i personaggi dipinti nel mondo reale e concreto. Questi personaggi dallo sguardo assente, perso nel vuoto, sono icone del contemporaneo in recita solitaria, incapaci di condividere i propri sentimenti e le proprie angosce. Intorno ad essi c’è soltanto il vuoto, che provoca smarrimento e alienazione, senza alcuna possibilità di fuga. Le stesse finestre che appaiono sul fondo non inquadrano spazi aperti, ma ulteriori camere prospettiche, ove l’uomo è condannato all’isolamento e all’incomunicabilità. I suoi occhi sono l’espressione di uno sguardo centripeto che, in assenza di un interlocutore e persino di un oggetto esterno in cui proiettare i propri umori, volge dentro di sé alla ricerca dell’Essere, della dimensione assoluta e trascendente che costituisce il fondamento dell’uomo. Marco di Mauro |